La mafia a casa nostra
«La mafia non è solo quella delle serie TV»: è questo ciò che Marcello Beccati, segretario provinciale della CGIL Edili di Modena, e Sabrina Pignedoli, giornalista minacciata per un articolo da lei scritto, hanno fatto capire agli studenti dell’istituto “Rosa Luxemburg”.
Le mafie sono a casa nostra, in Emilia Romagna, ma noi non ce ne rendiamo conto perché i mafiosi vestono in giacca e cravatta e s’insinuano in modo subdolo nell’economia, uccidendola. Non è la mafia che crediamo di conoscere, quella che si trova nel Sud Italia e che uccide e terrorizza apertamente le persone. È la mafia che vuole mostrare un volto pulito, rassicurante, e si atteggia a benefattrice, pretendendo però in cambio la fedeltà assoluta dei “beneficiati”, che sono così resi schiavi.
Da sempre – ci hanno ricordato i due testimoni – siamo stati convinti che le regioni del Nord avessero gli “anticorpi” contro le mafie, e invece ci sbagliavamo.
Ma come ha fatto la mafia a entrare in casa nostra?
Il “Processo Aemilia” ha messo in luce le modalità con cui i malavitosi si sono insinuati nel tessuto economico emiliano, infettandolo. Molte aziende in difficoltà economica, che a causa della stretta creditizia successiva alla crisi del 2008 non hanno potuto ricevere denaro da parte degli istituti di credito, si sono rivolte ai mafiosi, che prestavano soldi e lavoratori alle aziende stesse, facendosi poi ridare indietro una percentuale di denaro “pulito”. In questo modo le imprese controllate dai mafiosi hanno monopolizzato il mercato del lavoro, mettendo in grave difficoltà le altre imprese del territorio. Anche la ricostruzione successiva al terremoto del 2012 è stata per le mafie un’occasione di profitti illeciti.
Il modo più efficace per riuscire a fermare la mafia – hanno detto all’unisono Beccati e Pignedoli – è quello di collaborare insieme, informandoci quotidianamente su quanto accade nel nostro territorio (ad esempio i flussi di denaro sospetti e le interferenze tra politica ed esponenti della malavita). Non dobbiamo mai avere paura di parlare.